Sei mesi fa sono finito in Cambogia.
Ci sono precipitato, caduto come cade un trapezista che manca l’obiettivo e guardandolo si abbandona alla rete. Sono caduto perché la rete mi attirava, perché mi ci hanno spinto, perché l’obiettivo non mi interessava più o non riuscivo più a vederlo … sono caduto perché volevo cadere, con l’unica paura di quel che lasciavo e le mille promesse di quel che avrei fatto una volta rialzato.
Tra queste, la promessa di tenere un diario, magari anche più d’uno, di collezionare storie, di registrare quanti più attimi mi fosse stato possibile, di far tante di quelle foto da poterci foderare casa, insomma di tornare con tanta di quella roba che pareva dovessi scoprire di nuovo la Cambogia e mostrarla al mondo. Tra una settimana torno a casa con una dozzina di cassette, cartelle di foto rubate qua e la, una decina di cartoline e due pagine scritte. Torno povero di ricordi, e non perché io non abbia nulla da ricordare. Torno povero di ricordi perché non ho nulla da mostrare.
Di certo, la Cambogia non è parole, e i libri e le storie che ho letto o ascoltato, non hanno fatto che convincermene. La lingua Khmer non è un “provenzale”, manca di tempi linguistici, una parola vale cinque significati, e il senso delle parole più alte e immateriali giace spesso nelle ragnatele di una religione che concilia tre versioni del Buddha con un numero infinito di dei e fantasmi, cosi che spesso non sia chiara nemmeno ai suoi ministranti. Tutte le pratiche dello spirito, e l’arte, e tutto ciò a cui ho dedicato anni di studi e ricerca qui sono il frutto passivo di un barocco casuale. Statue e architetture colme di vernici che imitano l’oro e l’argento e gocciolano senza rispetto sulle antiche pitture, suoni che imitano strumenti che imitano canzoni che colano sul canto della tradizione e si riversano in video karaoke fatti a imitazioni di film-clip comico teatrali che imitano barzellette teatrali che imitano e promuovono i limiti più forti di questa cultura. E matrimoni che imitano nozze regali, con principesse vestite d’oro e comprate ai genitori da principi che chiedono garanzie di verginità sul consiglio di madri che affidano la loro saggezza alle previsioni di indovini vestiti da militari che consultano un Buddha goloso di dollari che ha rimpiazzato i “Dio sia con te” con “Fortuna e Business siano con te”.
Ho passato mesi a chiedermi quale fosse il reale valore della bellezza in questo Paese, a cercare le mie 15 opere d’arte, 15 esemplari di bellezza eterna per poter dire che anche stavolta ne era valsa la pena, per poter fare di una terra straniera la mia casa. Tra una settimana torno a casa, chiedendomi quale sia stato il reale valore di questa esperienza, e quale fosse il reale valore della mia domanda. Torno in un paese dove la bellezza è tutto ciò che risponde a dei canoni, a delle regole ben precise, e che sa dare l’impressione di uscirne senza farlo veramente e dove artisti incompresi e compresi pretendono il tempo della loro vita per aver la possibilità di annoiarsi dietro al loro lavoro. Torno in un paese dove le religioni si negano tra loro fino a negare se stesse, dove l’arte stessa è viziata al punto di potersi negare, dove l’amore nega se stesso tanto da far meno bellezza di quanti ne possa fare la dolce ballata di una prostituta o la fiera poesia di un uomo solo. Questa è la bellezza in cui sono cresciuto, questa è la bellezza che non posso rinnegare. Ma è una bellezza che non ha occhi che per sé stessa, perché si presenta come “la Bellezza”, perché si da nome, perché pur nell’illusoria varietà delle sue forme, non è che sempre quella, ordinaria, obbediente, finita.
Ci ho messo sei mesi ad aprire gli occhi e a ricordare che la bellezza è ciò che innalza lo spirito e migliora la qualità dell’esistenza. E che la Cambogia non ha mai smesso di circondarmi di bellezza, bellezza sporca, bellezza che non ha regole, bellezza, che non ha fine, bellezza che non ha contenitore, che non ha prezzo. Bellezza che non si vuol mostrare, come il trapezista che preferisce cadere nella rete piuttosto che afferrare il suo trampolo.
LISTA DI 15 OPERE D’ARTE IN CAMBOGIA
1) La bellezza in Cambogia è una donna con il volto coperto da un foulard che lentamente viene fuori dalle acque fangose di una risaia. Lentamente. Con la grazia di una Venere che Botticelli non ha mai disegnato
2) La bellezza in Cambogia è il buio della notte spaccato da una enorme luna bianca, la sagoma di una casa a palafitta nel mezzo del nulla tradita dalla traballante luce della sua finestra, e sotto di essa, l’ombra di un uomo in un’amaca che guarda la strada accarezzando il suo cane, le sere di Van Gogh, fuori dalla tela.
3) La bellezza è un teatro di legno con un sipario rosso che si leva nel bel mezzo di una baraccopoli. E sul sipario bambini cantano, pranzano l’un di fronte all’altro, riposano, mentre lo show sembra non annoiare mai.
4) La bellezza in Cambogia è km e km di strade bordate da infinite fiammelle che si stagliano sulla notte nera come lacrime di fuoco per tutti i fratelli morti nel crollo del ponte. Mentre un silenzio sconosciuto stordisce l’autobus per tutto il tragitto dal confine alla capitale, come fosse un requiem di Mozart, ma senza strumenti.
5) La bellezza in Cambogia è un bambino in lacrime che pedala velocemente per inseguire in bicicletta il mezzo che ti porta via da lui, e la sensazione di aver visto quella scena da neorealismo mille volte, ma di non averne mai afferrato primanil vero senso.
6) La bellezza in Cambogia è un rock&roll di due ore e mezzo suonato con una vecchia chitarra nel cortile di una vecchia scuola abbandonata ad un pubblico di piccoli ballerini, cosi sporchi, così folli, così rock, che Woodstock a confronto sarebbe sembrato uno spettacolo di fine anno al liceo.
7) La bellezza in Cambogia è varcare la soglia di una pagoda alle 4 del mattino accompagnato dall’eterno canto dei monaci, e inginocchiarti con la certezza di poter pregare il Dio che vuoi senza che nessuno ne abbia a male, lo stesso Dio incluso, e che una chiesa che può contenere così tanti spiriti deve essere certamente più grande di un’enorme cattedrale che può contenerne soltanto uno.
8) La bellezza in Cambogia è un uomo che ha tre galline e ne uccide una per onorare la tua partenza, una bambina che apre la scatola dei suoi tesori e si priva del più bello per fartene dono perché tu sia suo fratello.
9) La bellezza in Cambogia è la città coperta dai fumi delle cucine di strada, una gallina che attraversa una strada a sei corsie, l’uomo che alla sera torna a casa portando al guinzaglio il suo vecchio elefante stanco.
10) La bellezza in Cambogia è un gruppo di vecchiette che alle sette del mattino ruminano ritmicamente tabacco e ridono, belle e raggianti come da decenni, sull’autobus che porterà le loro vecchie ossa al lavoro, come da decenni.
11) La bellezza in Cambogia è una passeggiata in un campo di concentramento dove versare lacrime per un dolore che non ti appartiene e sentire la nostalgia di un tempo che non si è vissuto.
12) La bellezza in Cambogia è un pescatore che cammina tra le acque nell’assoluto nulla del mare aperto con sulle spalle due reti grandi come ali.
13) La bellezza in Camboiga è IL CAMPIONE nazionale della Cambogia, che siede su una vecchia poltrona scassata nel mezzo di un vecchio piazzale sterrato, e con sua moglie seduto sulle ginocchia è ancora felice di dirti:” Sono Eh Pouthong , il campione della Cambogia”.
14) La bellezza in Cambogia è una fiaba recitata di fronte a più di cento orfanelli, e la sensazione di non riuscire più a capire chi in realtà sta intrattenendo chi, alla faccia del teatro interattivo, di Barthes, e di tutti quelli che hanno scritto libri e libri perché desideravano la stessa semplice cosa.
15) La bellezza in Cambogia è Kim, sei anni, orfanella, che danza come la più bella delle donne. E che quando stai seduto in un angolo perché sei stanco, o perché l’umore non regge, lei abbandona la festa ti si avvicina con un po’ di carta igienica rosa e con le mani coperte dai morsi dall’HIV, come la più dolce delle donne ti asciuga con cura il viso dal sudore, e sorride. E che quando te ne andrai verrà ad abbracciarti con gli occhi lucidi, senza dire niente, e poi si allontanerà per lasciarti partire, guardandoti ma senza frignare, come la più forte delle donne.
Kim è la mia Cambogia e tutto quel che essa è stato. E sebbene io sappia in parte che scoprirne la bellezza mi è costato e probabilmente mi costerà tantissimo, la verità è che tutto quel che ho dato sarà sempre stato una minima parte di quel che ne ho ricevuto.