Un viaggio di soli ritorni

posted in Journal

Un viaggio di soli ritorni

Nepal. Sei mesi ora, e un viaggio.

I sei mesi sono i soliti sei dannati mesi prima della fine. Quelli che alla fine c’è sempre a un nuovo viaggio per cui rimetti in valigia la roba che t’eri portato cercando di ricordare l’esatta posizione in cui l’avevi tirata fuori l’ultima volta. Ma lo fai con meno rispetto, un pò perché il tempo li ha consumati, ancora una volta, e un pò perché devono far spazio alle cose nuove, come si fa con le nuove stagioni.

Stagioni. Stagioni di sei mesi scandiscono la mia vita e quella di chissà quanti altri se ne vanno inseguendo le opportunità e i segni del destino come vedessero delle lucciole volare in un boulevard metropolitano, kiedendosi – dove vanno? dove tornano le lucciole di città? dove riposano? – mentre le lucciole di città si spengono nel loro viaggio veloci e brevi come fari in autostrada, come tutte le altre lucciole, passandosi la luce in staffetta per non degnarci di condividere, nel viaggio,  la loro stessa fine.

Un viaggio, ancora una volta, per celebrare la fine e l’inizio. E che stavolta però, non viene per chiudere la stagione.

Perché alla fine di questo Nepal e di questi sei mesi c’è un lungo viaggio di soli ritorni, e tutti in posti che ambiscono ad esser chiamati casa.  Attraverso paesi e continenti come fossero quadratini numerati disegnati con un gessetto sul bordo di una rupe, e sebbene io saltelli male con una gamba alzata, centro sempre il percorso, di tappa in tappa, Katmandu-Delhi-Parigi-Milano-Palermo-Gela-Catania-Milano-Delhi-Bangkok-Siam Reap -Phnompenh-Sihanokuville-Bangkok-Delhi- Kathmandu, dalla neve arrotolata ai bordi delle piste aeree al sole che accende gli agrumeti, dai canti di natale sparati negli Champ Elysées agli assoli di sitar menati senza sosta nei bazar di Delhi, dal silenzioso grigiore delle pietre e dei boschi della Val de Marne ai colori smorti e pasticciati dei borghi palermitani, dai nomi di eroi glorificati dalla storia sulle lapidi del cimitero di Pere Lachaise a quelli dei cari lasciati corpi nelle loro case e ritrovati mimagini  su tombe mai conosciute… e poi dalle montagne al mare, dal mare alle montagne, le grandi e imponenti montagne. Che non sono mai state così basse e fragili.

Bandipur, Nepal

Bianco nel bianco, le vette che mi sono state prigione e rifugio si sgretolano adesso sotto il feltro dei monsoni di inverno che lentamente avanza, e inonda la vallata tutta di altri colori ed altre ombre, come segni di un altrove che ha ormai varcato le mura.

E mentre il mio aereo vola oltre le cime delle grandi vette, all’ombra di quelle ombre riposa ancora il mio spirito, prigioniero di un limbo sospeso a metà tra cielo e terra e custodito dalle grandi aquile che nel loro volo infinito e costante reggono il cielo di Kathmandu.

Il cielo di Katmandu, pure quello, non era mai stato così fragile.  Mi chiedo come sia possibile varcare con tale facilità la conca di un mondo così sperduto  e mi accorgo che da quel mondo io non sono mai tornato.

Bungamati, Nepal

Non fraintendetemi. Sono seduto qui, sull’ennesima poltroncina dell’ennesimo aeroporto, nell’ennesimo ritorno da tutto ciò che ha diritto di riscuotere una buona percentuale di merito per  ciò che è stata la mia vita, e ognuna delle mete di questo viaggio è stata e rimane forse tutt’ora, casa. C’è però che nell’inseguire un tempo che non ci appartiene, abbiamo costruito macchine più veloci dei nostri sensi, e forse anche dei nostri stessi pensieri. Sicché un aereo può oggi viaggiare contro il tempo, raggiungere l’altro capo del mondo prima che lo faccia il sole, e sincronizzarsi con esso in un solo click d’orologio, ma mentre il corpo attraversa tunnel spaziotemporali fatti di buon acciaio seduto su comode poltroncine con  mini-toilette ed aria condizionata, la mente è una statua di sale lasciata sulla soglia che non smette di guardarsi indietro mentre conduce, un passo appresso all’altro, lungo la linea del confine, senza mai discostarsene.

Perciò voi mi avrete visto tra le vostre strade, ma il mio corpo e la mia mente camminano ancora per i vicoli sporchi di Kathmandu,le mie orecchie sono ancora assordate dal gregge di motori selvaggi e dal silenzio delle lunghe ore di buio, il mio naso cerca il profumo e il fetore sposati in un’unica essenza, e nei miei occhi si preserva vanitoso lo splendore di giorni sempre nuovi.

Bungamati, Nepal

Perché se passeggiare per i borghi impagliati di Bungamati significa temere di aver attraversato un varco nel tempo il Medioevo, se hai visto Lumbini nel giorno del Thiar come una Betlemme di confine illuminata da centinaia di candele e religiosa contemplazione, se i bambini del villaggio di Chhaaling praticano la gioia con le divise sporche e il moccio al naso, se remando tra i vapori del lago di Pokahara al tramonto, le montagne tremano e si fondono con l’orizzonte, se dall’alto del tempio di Bandipur puoi sorvegliare le nuvole sommergere il mondo e sentirti dio, se la novità e lo stupore scandiscono i giorni davanti ai tuoi occhi fino all’ultimo di ogni maledetta stagione, allora partire, tornare, cambiare lo spazio e il tempo, richiedono alla nostra coscienza tempi più lunghi di quelli che ci siamo imposti. Ovunque il nostro dito si posi sulla mappa del mondo per indicare la nostra posizione, ciò che vediamo, ascoltiamo, sentiamo e viviamo veramente è ciò che sin dal primo istante appare davanti ai nostri occhi chiusi, nel silenzio.

Così qui, seduto nella poltroncina di una sala attesa di un aeroporto, a metà di ogni strada possibile, io chiudo gli occhi e vedo montagne tutto intorno a me, montagne più alte e imponenti dello stesso Himalaya, che non crollano, non possono crollare, perché esse sono la storia che io ora mi porto dietro, esse suonano i rintocchi del tempo, in esse ho costruito vita. Perché in questo viaggio di soli ritorni, è solo ad esse che io ora devo tornare.

Nepal sei mesi e un viaggio.
Domani è Natale. Domani Bangkok.